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al testo di Pietro Menditto
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Da dove è riemersa la tua figura più di una volta nobile e snella? Forse da dove come Cariddi e Scilla rampanti si scontrano lo spazio e il tempo? E sembri muta chiedermi come trasmuti in uno sbaraglio la mia sera, se lo stesso ti penso, se pure disseccato il mio cuore ancora ti spera. Tu sai, noi sapemmo, che speranza è un guardare fidi all’orizzonte credendo s’alzi l’astro, il volto spasimato, eppure conosci del miraggio cieco il giudizio che ne ho dato. Io non spero né dispero. Sono dove spira non la mente il sentimento, arde quello che mi tocca e fa di me un povero contento. Non ti chiedo, o riemersa, del profondo che ti occulta mentre più io non attendo, e mena dell’ultima sua inezia gloria il mondo. La vita è solo scaglie d’una serpe vile che dopo che t’ha morso lenta poi s’abbiscia sul cottimo saziato delle sue infiaccate spire. Dai tali circondato e poi dai quali eterni come frusti fogli di giornali ormai provetto ho appreso l’arte protetto di starmene in disparte. I tuoi occhi come un tempo, gli occhi supplichevoli di bene … Quello che in mezzo vi si pose non mi riuscì di battezzargli un nome. Perché riemersa in queste ore a chiedere lo stesso, il fiato che allora già non ti rispose, tu riemersa, ma da dove? Credo che a te accanto rassegnato abbia scelto di restare anche l’amore. |
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